La pasta alla carbonara è una delle ricette più storpiate, malinterpretate e vituperate fuori (e dentro) i confini italiani. Ma è anche una delle più amate. La maggior parte dei ricettari (quelli autorevoli, si intende) non ne testimonia la presenza sino al 1930, il che confermerebbe la sua nascita recente. Ma tra le possibili versioni della sua origine, ci piace credere a una stretta parentela con gli Stati Uniti: si inizia a vederla menzionata dopo la liberazione di Roma del 1944. Forse fu proprio in quel periodo che comparve il bacon (pancetta affumicata) insieme alle buste liofilizzate di uova portate dalle truppe USA.
Ma i più nazionalisti – e romantici – non sono d’accordo. Secondo loro la carbonara sarebbe l’evoluzione del “cacio e ova”, di impronta laziale e abruzzese, e prenderebbe il nome dai boscaioli che andavano sugli Appennini a fare carbone con la legna. Di certo nessun esperto di ricette tradizionali userebbe bacon o la pancetta (entrambi ricavati dal ventre dell’animale): la vera ricetta prevede il guanciale, proprio la guancia del suino, con alta quantità di muscolo e bassa quantità di grasso pregiato.
A parte le diatribe in terra straniera, la ricetta crea dibattiti anche tra i cuochi e i gourmet di casa: uovo intero o solo tuorlo, pecorino romano o Parmigiano Reggiano, aglio, cipolla o niente? Un minimo accordo tra la vecchia guardia della cucina tradizionale italiana si trova sul vecchio e autorevole ricettario di Anna Gosetti della Salda: decreta un rigoroso no alla presenza della panna, per il resto sono ammesse alcune varianti non sostanziali.
Il formato della pasta deve essere lungo, le uova vanno sbattute a parte – meglio se solo il tuorlo – il pepe dev’essere fresco e macinato al momento: in questa ricetta, infatti, non è un semplice condimento ma un ingrediente di base. Attenzione anche a scongiurare il pericolo “frittatina”, rischio di ogni cuoco in erba e dei foodies alle prime armi: questo si crea quando l’uovo entra in contatto con una temperatura superiore ai 75°, i gradi della coagulazione. Meglio amalgamare gli ingredienti fuori dal fuoco.
La pasta alla carbonara è una delle ricette più storpiate, malinterpretate e vituperate fuori (e dentro) i confini italiani. Ma è anche una delle più amate. La maggior parte dei ricettari (quelli autorevoli, si intende) non ne testimonia la presenza sino al 1930, il che confermerebbe la sua nascita recente. Ma tra le possibili versioni della sua origine, ci piace credere a una stretta parentela con gli Stati Uniti: si inizia a vederla menzionata dopo la liberazione di Roma del 1944. Forse fu proprio in quel periodo che comparve il bacon (pancetta affumicata) insieme alle buste liofilizzate di uova portate dalle truppe USA.
Ma i più nazionalisti – e romantici – non sono d’accordo. Secondo loro la carbonara sarebbe l’evoluzione del “cacio e ova”, di impronta laziale e abruzzese, e prenderebbe il nome dai boscaioli che andavano sugli Appennini a fare carbone con la legna. Di certo nessun esperto di ricette tradizionali userebbe bacon o la pancetta (entrambi ricavati dal ventre dell’animale): la vera ricetta prevede il guanciale, proprio la guancia del suino, con alta quantità di muscolo e bassa quantità di grasso pregiato.
A parte le diatribe in terra straniera, la ricetta crea dibattiti anche tra i cuochi e i gourmet di casa: uovo intero o solo tuorlo, pecorino romano o Parmigiano Reggiano, aglio, cipolla o niente? Un minimo accordo tra la vecchia guardia della cucina tradizionale italiana si trova sul vecchio e autorevole ricettario di Anna Gosetti della Salda: decreta un rigoroso no alla presenza della panna, per il resto sono ammesse alcune varianti non sostanziali.
Il formato della pasta deve essere lungo, le uova vanno sbattute a parte – meglio se solo il tuorlo – il pepe dev’essere fresco e macinato al momento: in questa ricetta, infatti, non è un semplice condimento ma un ingrediente di base. Attenzione anche a scongiurare il pericolo “frittatina”, rischio di ogni cuoco in erba e dei foodies alle prime armi: questo si crea quando l’uovo entra in contatto con una temperatura superiore ai 75°, i gradi della coagulazione. Meglio amalgamare gli ingredienti fuori dal fuoco.